ENTRIAMO NELL´ORATORIO DI SAN CARLO

 Da qualche mese sono in corso i lavori di restauro conservativo
I ’luoghi storici’ in Lissone non sono poi tanti….Le testimonianza di una popolazione ricca di fede cristiana sono di certo solo alcune chiese della città.  

 

Sarà Lei a spiegarci quanto è stato fatto finora. La ringraziamo per averci concessa l’intervista che segue.
INTERVISTA ALL’ARCHITETTO A.PUCCI CORBETTA
SUI LAVORI DI RESTAURO CONSERVATTIVO
DELL’ORATORIO SAN CARLO IN LISSONE 
 

Perché intervenire sull’oratorio di S.Carlo?  

Due ragioni, quella tecnica è che richiedeva innanzitutto il consolidamento. Quella emotiva è che è un piccolo oggetto della storia della città. Un oratorio voluto da generosi piccoli mecenati Lissonesi in omaggio a un gran mecenate quale S.Carlo, per regalarsi un luogo di devozione, in un periodo di ripresa religiosa. Oggi val la pena che i Lissonesi riabbiano un luogo di qualità per loro cerimonie religiose.  

  

Ha parlato di consolidamento: c’era davvero un problema?  

Non era pericolante ma certamente era segnato nelle fondazioni, probabilmente per scavi vicini, e questo già aveva determinato lesioni nelle volte. Ora il cedimento è stato eliminato con resine sintetiche espansive, le arcate sono state irrobustite con ferri. Anche un puntone di legno e tutta la carpenteria minore del tetto sono stati sostituiti.
Ma il motivo fondamentale dell’intervento era un altro? Quale? L’oratorio appariva quasi abbandonato. E interventi del passato avevano annebbiato l’aspetto di questo bell’edificio del seicento più che valorizzarlo.
Così il tema è stato quello di riportare l’Oratorio alla sua funzione di oggetto dei Lissonesi per riti e cerimonie insieme intime e, per dirla in sintesi, raffinate.
Un intervento intimamente raffinato? Certamente. E sulla base di un progetto che ha riguardato l’insieme dell’edificio, ma anche ciascuno dei suoi singoli elementi, perfino suoi singoli elementi di cotto. 

Partiamo dell’insieme.

 Si. Il primo obiettivo è stato di valorizzare il disegno generale dell’oratorio, con la sua facciata alta, verticalizzata, le sue lesene, il suo portale e la sua finestra superiore. Qui però già interviene un aspetto particolare. Il portale è finalmente di nuovo in cotto. L’intuizione che sotto il portalino che appariva di cemento ci fosse l’originale decoro in mattoni è stata confermata. E allora abbiamo restaurato pezzo per pezzo il portale di cotto. E’ un particolare ma, con la finestra superiore, caratterizza il disegno generale dell’oratorio. L’intervento sulle fiancate di mattoni a vista le ha riportate a quell’aspetto di tessuto di luce, colore di terra rossa e scabrosità che caratterizza tanta architettura seicentesca, della controriforma. Per evidenziare il cotto sono state invece intonacati gli sfondati, i rientri, delle finestrature che erano state chiuse per esigenze statiche cieche e che abbiamo riaperto. Con lo stesso motivo formale, ma invertendo le parti, sul retro, sull’abside, il velo di intonaco è racchiuso dalle grandi lesene in mattoni. 

Mattoni e intonaco, dunque?

Si ma c’è mattone e mattone e intonaco e intonaco. I mattoni e sono stati lavati con acqua deionizzata mista a polvere dolomitica, poi imbibiti di un consolidante antisfarinante, poi trattati con un idrorepellente. Ma il trattamento non crea patine o pellicole superiori e non è visibile se non perché lascia dei “bei” mattoni, o dove già li abbiamo trovati, dei “bei” ciotoli. Qualche pezzo abbiamo anche dovuto farlo ex novo, utilizzando la tecnica del cuci e scuci, e introducendo pezzi restaurati o “nuovi” che abbiamo lasciato appena differenziati per ragioni di rigore nel restauro. Poi abbiamo ripristinato le fughe di malta tra mattone e mattone. Tutti le malte e gli intonaci che abbiamo utilizzato, in accordo con la Soprintendenza, o sono chimicamente gli stessi di un tempo o li abbiamo verificati nel loro effetto. Per alcuni interventi abbiamo utilizzato un misto di grassello di calce, polvere di marmo e macinato di mattoni, si chiama “coccio pesto”, per ottenere un tono idoneo a dialogare con le grandi superfici in cotto.
Un intervento anche miniaturizzato dunque?

 Un buon intervento da estetista valorizza linee del volto esistenti e interviene ciglio su ciglio. Non c’è motivo perché un architetto non valorizzi un disegno con un graffietto nell’intonaco, dia una velatura di pittura fresca su intonaco fresco per ravvivare un fondo già vivo, calibri i toni di colore del rosso mattone e del grigio azzurro, gestisca un oratorio come uno scrigno. Non c’è motivo per non farlo soprattutto se pare corretto ritenere che i costruttori originari abbiano posto quella stessa cura nella prima realizzazione. Oltretutto gli interventi di restauro ambiscono a durare più di quelli su un volto.

Avete finito?

Finanziamenti permettendo dobbiamo ora completare l’intervento all’interno e avviare quello sul sagrato.
All’interno stiamo rendendo più calde le pareti. Sul piano visivo proseguiamo all’interno dell’Oratorio il dialogo tra intonaco e mattone. Ma operiamo anche sul piano strettamente fisico, della temperatura. Per evitare ogni rottura nel muro storico stiamo realizzando un impianto di riscaldamento costituito da piccolissimi tubi appoggiati alla parete e ricoperti di intonaco.

 Si dà così nuova funzione a una zoccolatura spessa appena 3,5 cm sulla parte bassa delle pareti perimetrali.
Il pavimento merita soltanto di essere apprezzato in tutta la sua bellezza: è infatti un bellissimo cotto fiammato.
Poi dovremmo realizzare nuovi servizi igienici e sostituire il pavimento della sagrestia, oggi in graniglia, rendendolo di beola.
Il sagrato poi sarà fatto di un bel disegno, neanche dirlo, di cotto e pietra. Sono ansiosa di farlo e di vederlo realizzato. I permessi ci sono, la volontà anche. Forse sarebbe bene restaurare anche l’antica virtù che ha dato avvio alla costruzione dell’Oratorio: ci vorrebbero nuovi mecenati, piccoli o grandi. 

 

 

 

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