Sempre di moda lo “sciopero della fame o della sete” per il raggiungimento di obiettivi disparati, dalla politica al calcio. Qualcuno ha il coraggio di dire che si tratta di una forma di violenza inaccettabile?
Una mod
Sempre di moda lo “sciopero della fame o della sete” per il raggiungimento di obiettivi disparati, dalla politica al calcio. Qualcuno ha il coraggio di dire che si tratta di una forma di violenza inaccettabile?
Una moda che non tramonta mai, perché c’è sempre qualcuno pronto a ricominciare quello che qualcun altro ha interrotto. Una moda che si impone ogni giorno alle nostre cronache di una nuova straordinaria battaglia in corso. Non ci sono estati e inverni, non ci sono autunni e primavere: lo “sciopero della fame” e il suo fratello più giovane e drastico, lo “sciopero della sete”, sono sempre fra di noi.
Molti di voi ricorderanno, qualche mese fa, l’ennesima iniziativa di Marco Pannella, che per la legalità penso bene di privarsi di cibo e acqua per vari giorni, salvo poi andare in TV e, sotto gli occhi compiaciuti del grande capo della prima rete commerciale italiana, sorseggiare quel po’ d’acqua che gli restituiva ore di vita. Possibile mai che di fronte a queste iniziative denominate “non violente” giornali e TV non sappiamo spendere altro che scontate considerazioni?
Ci chiediamo: qualcuno è d’accordo nel ritenere che, lungi dall’essere la “forma massima di non violenza”, lo sciopero della fame è semplicemente una forma di “ricatto” che non dovrebbe incontrare alcuna benevolenza presso l’opinione pubblica?
Questo “ricatto” non è attuato per raggiungere un fine di natura politica (per quanto lodevole esso sia), esso si configura come un atto di violenza duplice: contro se stessi e contro gli altri? Questo metodo è l’esatto opposto di un confronto serio e democratico, giocato ad armi pari con la sola forza delle argomentazioni.
Certo, è una vergogna che in questo paese si riesca ad ottenere attenzione e considerazione solo attraverso gesti di questo tipo, ma ciò non toglie valore, pensiamo, a quanto abbiamo appena detto: in un paese civile si sciopera dal lavoro, non dal cibo e dall’acqua……..
Negli ultimi giorni gli scioperanti della fame sono, come al solito, presenti all’appello. C’è lo sciopero di natura politica, attuato (ma guarda un po’!) dai radicali, che con Daniele Capezzone e Rita Bernardini scioperano per segnalare il bavaglio informativo sulla raccolta di firme per l’abrogazione della legge sulla procreazione assistita (argomentazioni sulle quali non sarebbe male che ci si soffermasse un po’, anche sui media, cercando di sfatare gli ingiustificati luoghi comuni che sembrerebbero rendere impopolare una legge, sulla quale, il nostro giudizio resta più che positivo e per la quale ci batteremo moltissimo ….. abbiamo già iniziato…. perchè questa legge è una legge UMANA e non cristiana. Sic!).
C’è quello di natura giudiziaria, attuato da tempo nel carcere di Spoleto da un “militante comunista” e nel carcere di Livorno da un condannato per depistaggio in merito alla strage di Bologna; c’è quello internazionale e geopolitico, attuato da gruppi di israeliani e palestinesi contro il famigerato muro eretto da Sharon; c’è quello interoceanico, messo in essere da due attivisti svedesi che chiedono la liberazione di cinque cubani detenuti negli Usa.
E c’è, poveri noi, perfino quello sportivo, attuato (e conclusosi anzitempo) nientepopodimeno che da un francescano, padre Fedele Risceglie, un tempo ultras del Cosenza Calcio e oggi addirittura presidente della squadra, in sciopero della fame, fino ad un malore che lo ha obbligato a riprendere cibo, per chiedere dalla FIGC l’iscrizione della squadra ad un campionato professionistico. Mah!….
A che punto siamo arrivati!
Non c’è insomma che l’imbarazzo della scelta. Fino a quando lo sciopero della fame era un’evenienza rara, forse aveva una qualche utilità. Oggi persino quella sembra non essere assicurata. Ai dilettanti dello sciopero della fame chiediamo di evitare simili trappole, e di tornare a più miti intenzioni. Ne guadagneranno sotto tutti i punti di vista.
Ai professionisti dello sciopero, invece, vorremmo chiedere: pietà.
Finitela di tormentarci e finitela di definirvi “non violenti” mentre usate armi di persuasione così dure e spropositate. E sarà anche ora che i vostri interlocutori abbiano il coraggio di non prestarsi ogni volta a questo gioco al massacro, psicologico e non, lanciando appelli e contro-appelli affinché un lo sciopero venga ad essere cessato. Di fronte ai digiuni forzati l’atteggiamento da assumere dovrebbe essere uno solo: “Caro amico, finchè tu non smetti questo sciopero non otterrai dal sottoscritto alcuna attenzione”. In democrazia ci si ascolta a vicenda, si portano le proprie ragioni e le proprie argomentazioni, ci si confronta e ci si scontra, ma sempre e comunque ci si rispetta.
E il rispetto, quello vero, include anche il rispetto per il proprio corpo e per la propria e altrui serenità. I ricatti, in democrazia, non hanno diritto di cittadinanza.
L’esatto contrario, però, di ciò che succede quasi sempre.
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