LOURDES: UNA VITA CHE NASCE DALLA SOFFERENZA.

Ospitiamo il racconto di una giovane amica che ha vissuto direttamente la grandezza della cittadina francese: due giovani amiche in viaggio verso Lourdes e un regalo che è quasi una profezia, concretizzatasi anni dopo con la nascita di una bambina.

Ospitiamo il racconto di una giovane amica che ha vissuto direttamente la grandezza della cittadina francese: due giovani amiche in viaggio verso Lourdes e un regalo che è quasi una profezia, concretizzatasi anni dopo con la nascita di una bambina.

Questa storia è un po’ quella di sempre, quella di un grande dolore che è capace di contenere in se stesso, generare e promanare Amore.

La mia amica, Flo, è una ragazza madre: Chiara è la figlia di un padre che non l’ha mai voluta. Quando è nata era già marchiata, era già la figlia di una ragazza madre, la stanzetta dell’ospedale che l’avrebbe accolta era la più piccola, ad un solo posto, e la più lontana dalle altre, dove le madri parlavano tra di loro, allattando i loro bimbi, e i padri, emozionati più che mai, passeggiando avanti e indietro, cercavano di farsi spazio e di farsi notare un po’ dalle loro mogli totalmente rapite dai loro neonati.

Anche Chiara era li, ma sembrava nascesse in una mangiatoia, riscaldata e coccolata solo dalla sua mamma, ma su nel cielo anche per lei c’era una “stella cometa” pronta ad illuminare la via e capace di far dimenticare al mondo la storia di un desolato abbandono e di un Amore mai Amato. Quella bimba è stata la cosa più bella che i miei occhi potessero vedere e in cui potessero credere.

E’ stato davvero un miracolo della vita!

La nascita come miracolo non è solo lo slogan di movimenti che si battono per la vita o di indirizzi e filosofie politico cristiane: è un evento spettacolare, irresistibile, unico, anche quando non è programmato, né voluto, né desiderato, anche quando sembra essere solo l’atto di una tragedia, la storia di un infinito e di una profonda solitudine, anche quando ha il volto di una bimba che se solo avesse saputo la sua storia, e quanto avrebbe dovuto soffrire e pagare per essa, forse forse avrebbe preferito non nascere!

Il coraggio di aiutare “clandestinamente” e nascostamente la mia amica a far nascere Chiara è stato causa e motivo di minacce, maledizioni, ignoranza, sofferenza, insomma di tanto dolore. Il mio gesto di essere con lei ha decretato che quasi tutti fossero contro di me.

E sebbene anche io fossi un po’ “reietta”, mi bastava guardare gli occhi di Chiara, furbetti e intelligenti, le sue movenze a passo di danza, le sue manine intrecciare le mie, per rendermi conto che tutto quello che volevo dalla vita era solo questo…e nient’altro!

Tanto dolore ma quanto amore in cambio!

Quando arrivammo a Lourdes, niente di tutto questo era ancora successo… Sono passati quasi dieci anni da quell’ultimo campo a Lourdes.

 Avevamo appena ventun’anni, un’adolescenza alle spalle vissuta fra paure e angosce di ogni genere, un rapporto eternamente conflittuale con la figura paterna, un’inquietudine di fondo che caratterizzava e incupiva ogni aspetto della mia vita. Quel viaggio lungo ed estenuante su un treno lento e un po’ vecchiotto che dalla Sicilia, in gruppo, ci portava in Francia, a Lourdes, fu un viaggio un po’ speciale.

Eravamo una “carovana” di ragazze, quasi sessanta, con magliette corte, ma non certamente ombelicali, e jeans da strapazzo, zaini pieni di merendine di ogni tipo e tanta voglia di ridere, giocare, conoscere nuova gente e, perché no, dei baldi giovani… e forse alla fine mettersi un po’ a pregare.Il giorno prima di arrivare in Francia festeggiamo, sul treno, il compleanno di una ragazza, la mia amica del cuore… Flo.

E, data la situazione, non avevamo uno di quei bei regali costosi e impacchettati da donarle, ma solo un’icona, amorevolmente custodita da una suora “per ogni evenienza”, che raffigurava l’Annunciazione del Beato Angelico… “Tu donna partorirai un figlio e lo chiamerai Gesù…”.ma sia io che la mia amica capimmo subito in quei giorni che qualcosa avrebbe sconvolto le nostre vite e che qualcuno “divinamente” le avrebbe salvate.

Lourdes si presentava ai nostri occhi come una cittadina divisa fra il sacro più elevato e sublime e il profano più gretto; un recinto sanciva e segnava tale separazione. Da un lato negozi, chincaglieria varia, speculazione, dall’altro un continuo flusso vivente di gente che silenziosa elevava la sua preghiera davanti ad un cero, urlava la sua disperazione davanti ad una grotta, e si bagnava dell’acqua miracolosa per purificare il proprio corpo, guarire le proprie malattie e imperfezioni e sanare le malattie dell’anima. Immersi in questa atmosfera surreale e al contempo celestiale, dimenticavamo subito quell’altra parte e tutta la sua umanità ridondante.

Scegliemmo nei nostri cuori solo la grotta e le storie di una piccola donna, Bernadette, e della sua Signora. Quando in massa arrivavamo davanti alla grotta, con i nostri zaini pieni di spensierata giovinezza, ognuna di noi aveva accanto, quasi per uno strano gioco del destino, qualcuno; a volte un bambino, o un anziano, o un adulto, non importava, ma carico di sofferenza, che portava una croce sempre più grande e pesante della nostra… e noi ci sentivamo piccole e terribilmente fortunate, perché a differenza di loro le nostre preghiere erano ancora tutte impregnate di sogni e desideri che poco avevano a che fare con il dolore.

Eppure sebbene le nostre preghiere fossero più futili e meno intense di quelle del povero Cristo che avevamo avuto accanto, davanti a quella grotta tutto era magicamente vero. Davanti a quella grotta scavata su quella roccia, dove vedevi e sentivi sgorgare l’acqua fonte di vita, in quella nicchia c’era solo lei, una Signora di bianco vestita.

Dinanzi a lei c’eri solo tu con la tua storia, la tua irrequietezza, la tua rabbia, tutta la tua umanità, nessuna maschera da indossare per coprire il viso, nessun compromesso da accettare per farti accettare dal mondo, nessuna bugia che giustificasse o coprisse mille verità: solo il tuo caos interiore fatto di una sensibilità talmente raffinata che alla fine qualsiasi cosa o qualsiasi persona avrebbe potuto farti del male, avrebbero potuto uccidere.

Estato in quell’attimo, lì con lei, che ho smesso di ascoltare il mio caos e ho cominciato ad ascoltare la sua voce. La Signora di bianco vestita mi ha parlato del suo unico figlio e del suo dolore; anche il mio caos – diceva – era un dolore e la mia inquietudine mi avrebbe portato a vivere morendo o a scegliere la morte per la vita. Mi ha raccontato la storia di una nascita, quella del figlio di Dio, e del suo sacrificio per Amore.

E mi ha permesso di vedere una Croce e sulla Croce un Gesù abbandonato e su quella Croce ho rivisto la persona che avevo avuto accanto davanti alla Grotta, ho rivisto me stessa dolorante. Ed è allora che ho capito che il linguaggio con cui Dio ha scelto di comunicare, parlare all’uomo, è quello di un Dolore che si fa Amore.

Su quella croce io e la mia amica di viaggio non saremo mai soli e ci sarà un tempo in cui, dopo esser stati avvinghiati a Gesù su quella Croce, oltre le lacrime e la desolazione, ci sarà solo Resurrezione.

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