Silenzio parla il PAPA………..: LA PASSIONE VOLONTARIA di CRISTO, SERVO di DIO.

Nell’udienza del mercoledì, 22 settembre 2004,  Giovanni Paolo II riflette sul sacrificio di Cristo per la salvezza dell’umanità. Dio è solidale con il dolore dell’uomo, strappato dal male e riportato alla giustiza.

La sofferenza di C

Nell’udienza del mercoledì, 22 settembre 2004,  Giovanni Paolo II riflette sul sacrificio di Cristo per la salvezza dell’umanità. Dio è solidale con il dolore dell’uomo, strappato dal male e riportato alla giustiza.

La sofferenza di Cristo come segno di salvezza e della solidarietà di Dio con l’uomo. Nel cantico, spiega il papa, “Cristo è presentato come il Salvatore, solidale con noi nel suo «corpo» umano”. “Egli, nascendo dalla Vergine Maria, si è fatto nostro fratello. Può quindi esserci accanto, condividere il nostro dolore, portare il nostro male, «i nostri peccati».

Ma egli è anche e sempre il Figlio di Dio e questa sua solidarietà con noi diventa radicalmente trasformatrice, liberatrice, espiatrice, salvifica. In questa prospettiva, la povertà umana viene strappata dal male e riportata alla «giustizia», cioè al “bel progetto di Dio”. “L’ultima frase dell’inno – continua il pontefice – è particolarmente commovente. Recita: «Dalle sue piaghe siamo stati guariti» (v. 25). Qui vediamo quale caro prezzo Cristo abbia pagato per procurarci la guarigione!

Oggi ascoltando il brano innico del capitolo 2 della prima Lettera di san Pietro si è profilato in modo vivido davanti ai nostri occhi il volto di Cristo sofferente. Così accadeva ai lettori di quella Lettera nei primi tempi del cristianesimo, così è avvenuto per secoli durante la proclamazione liturgica della Parola di Dio e nella meditazione personale. Incastonato all’interno della Lettera, questo canto presenta una tonalità liturgica e sembra riflettere il respiro orante della Chiesa delle origini (cfr Col 1,15-20; Fil 2,6-11; 1Tim 3,16). Esso è segnato anche da un ideale dialogo tra autore e lettori, scandito dall’alternanza dei pronomi personali «noi» e «voi»: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme… Egli portò i nostri peccati sul suo corpo… perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia. Dalle sue piaghe siamo stati guariti» (1Pt 2,21.24-25).

Ma il pronome più insistito è nell’originale greco, hos, quasi martellato all’inizio dei versetti principali (cfr 2,22.23.24): è «Lui», il Cristo paziente, Lui che non ha commesso peccato, Lui che oltraggiato non reagiva chiedendo vendetta, Lui che sulla Croce ha portato il peso dei peccati dell’umanità per cancellarli. Il pensiero di Pietro, ma anche quello dei fedeli che recitano questo inno soprattutto nella Liturgia dei Vespri del periodo quaresimale, corrono al Servo di Jahvè descritto nel celebre quarto canto del Libro del profeta Isaia.

È un personaggio misterioso, interpretato dal cristianesimo in chiave messianica e cristologica, perché anticipa i particolari e il significato della Passione di Cristo: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità… Per le sue piaghe noi siamo stati guariti… Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca» (Is 53,4.5.7). Anche il profilo dell’umanità peccatrice delineato sotto l’immagine di un gregge sbandato, in un versetto non ripreso nella Liturgia dei Vespri (cfr 1Pt 2,25), proviene da quell’antico carme profetico: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada» (Is 53,6).

Due sono, quindi, le figure che s’incrociano nell’inno petrino. Prima di tutto c’è Lui, Cristo, che s’avvia verso la strada aspra della passione, senza opporsi all’ingiustizia e alla violenza, senza recriminazioni e sfoghi, ma consegnando se stesso e la sua dolorosa vicenda «a colui che giudica con giustizia» (1Pt 2,23). Un atto di fiducia pura e assoluta che sarà suggellata sulla Croce con le celebri ultime parole, gridate a gran voce come estremo abbandono all’opera del Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46; cfr Sal 30,6). Non è, dunque, una cieca e passiva rassegnazione, ma una fiducia coraggiosa, destinata a essere di esempio a tutti i discepoli che percorreranno la via oscura della prova e della persecuzione.

Cristo è presentato come il Salvatore, solidale con noi nel suo «corpo» umano. Egli, nascendo dalla Vergine Maria, si è fatto nostro fratello. Può quindi esserci accanto, condividere il nostro dolore, portare il nostro male, «i nostri peccati» (1Pt 2,24). Ma egli è anche e sempre il Figlio di Dio e questa sua solidarietà con noi diventa radicalmente trasformatrice, liberatrice, espiatrice, salvifica (ibidem). E così la nostra povera umanità viene strappata dalle strade deviate e perverse del male e riportata alla «giustizia», cioè al bel progetto di Dio. L’ultima frase dell’inno è particolarmente commovente.

Recita: «Dalle sue piaghe siamo stati guariti» (v. 25). Qui vediamo quale caro prezzo Cristo abbia pagato per procurarci la guarigione!

Concludiamo lasciando la parola ai Padri della Chiesa, cioè alla tradizione cristiana che ha meditato e pregato con questo inno di san Pietro.

Intrecciando un’espressione di tale inno con altre reminiscenze bibliche, Sant’Ireneo di Lione così sintetizza la figura di Cristo Salvatore, in un passo del suo trattato “Contro le eresie“: «C’è un solo e medesimo Cristo Gesù, Figlio di Dio, che mediante la sua passione ci ha riconciliato a Dio ed è risuscitato dai morti, che è alla destra del Padre ed è perfetto in tutte le cose: era colpito ma non restituiva i colpi, “egli che, mentre soffriva, non minacciava” e mentre soffriva una violenza tirannica, pregava il Padre di perdonare coloro che lo avevano crocifisso>.

Egli ci ha salvato veramente, egli è il Verbo di Dio, egli è l’Unigenito del Padre, Cristo Gesù nostro Signore» (III, 16,9, Milano 1997, p. 270).

Con la mia Benedizione!

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