Accogliere, proteggere, promuovere e integrare di Don Tiziano Vimercati – Parroco

C’è davvero il rischio, quando si ascolta una pagina di vangelo molto conosciuta, di non prestare molta attenzione, di dare per scontato il contenuto. Il rischio, per diversi motivi, è di non lasciarci interpellare. Così potrebbe essere successo la scorsa domenica quando l’evangelista Matteo ci ha riportato queste parole di Gesù:  Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore… Amerai il tuo prossimo come te stesso. Forse non ci siamo lasciati interpellare perché abbiamo pensato che sono sempre le stesse parole, che bene o male le mettiamo già in pratica (fosse vero!), che sono parole astratte, prive di consistenza, anche se belle, perché nella vita ci si regola in ben altro modo.

Occorre, invece, fare lo sforzo non solo di applicarle nel concreto della vita, nei gesti di tutti i giorni, sentirli come parole che mi fanno agire in un certo modo e non in un altro, ma anche chiedersi che cosa potrebbero dirci oggi nella situazione in cui viviamo, che cosa c’è di urgente che ci riguarda tutti, dove è necessario che i cristiani, singolarmente e come comunità, offrano la loro testimonianza di fedeltà al vangelo. Cercando di rispondere a questa domanda mi sono accorto, cosa non nuova del resto, che durante la scorsa settimana diversi pronunciamenti sono stati fatti dalla chiesa sulla questione delle migrazioni e dei profughi che arrivano in Europa in cerca di futuro.

Su questa questione si fa un gran parlare, ed è giusto che sia così. Non sempre però in modo corretto: molti parlano senza conoscere la questione, altri agitando pericoli e previsioni fosche per il futuro, altri in modo troppo irenico come se fosse una cosa da niente, i più senza aver mai guardato gli occhi pieni di dolore e di speranza dei nostri fratelli profughi. Ciò che sta avvenendo è una sfida complessa, difficile, anche se in realtà non è nuova, non ci sono soluzioni immediate a portata di mano. Richiede dialogo, e non contrapposizione, da parte di tutti. Papa Francesco parla spesso dei migranti, ne parla così tanto che a qualcuno comincia a dar fastidio. Ci ha insegnato quattro atteggiamenti da realizzare nell’incontro con i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

Ricordandoci anche che la chiesa si è sempre impegnata nel creare forme di ospitalità e di assistenza per i forestieri e i migranti. Non è cosa solo di oggi. E lo ha fatto per amore verso ogni uomo e ogni donna, non per una scelta politica o sociale. Lo ha fatto perché in ogni uomo e in ogni donna, in particolare nei poveri e nei sofferenti, vede il volto di Cristo. Dar da mangiare, dar da bere… a un povero è dar da mangiare, dar da bere…  a Gesù (vedi vangelo di Matteo 25). Mercoledì 27 settembre, nell’udienza generale, ne ha parlato ancora.

Dopo aver ricordato il poeta francese Charles Péguy, “Dio non si stupisce tanto per la fede degli uomini, ma per la loro speranza”, ha pronunciato queste bellissime parole: La speranza è la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti – penso ai migranti –, per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari.     Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare… La speranza è la spinta a “condividere il viaggio”, perché il viaggio si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra, e noi che andiamo verso il loro cuore, per capirli, per capire la loro cultura, la loro lingua. E’ un viaggio a due, ma senza speranza quel viaggio non si può fare… Fratelli, non abbiamo paura di condividere il viaggio! Non abbiamo paura! Non abbiamo paura di condividere la speranza! 

Mi ha colpito come il PAPA semplicemente dica: siamo coinvolti, non dovremmo tirarci fuori, facciamo quel poco o tanto che possiamo ma non tiriamoci fuori, mettiamoci al loro fianco e camminiamo con loro. Provo dolore quando sento che tanti cristiani si scagliano contro questi nostri fratelli, usano espressioni veramente cattive nei loro confronti, non capisco l’odio che provano, i più non hanno subito nessun torto, magari non si sono mai fermati una volta a parlare con loro. Provo gioia quando invece sento che persone che non si professano cristiani sanno invece aprire il cuore, sanno essere misericordiosi, pronunciano parole buone, parole d’amore. Da una parte ringrazio il Signore per tanta bontà.

Dall’altra però mi chiedo che fine fa tante volte la parola di Dio che ascoltiamo; perché essere cristiani se poi il nostro modo di pensare e di agire non è quello che ci insegna Gesù; perché ci lasciamo influenzare così tanto da una informazione tendenziosa; perché al posto della speranza è la paura che ispira l’atteggiamento e le scelte che si compiono?

Anche il nuovo presidente dei vescovi italiani, il Cardinal Gaultiero Bassetti, nel suo primo discorso, ha affrontato questo tema. Dopo avere ricordato gli insegnamenti del PAPA, parla di tre modi urgenti, da realizzare subito in favore dei migranti: “denunciando la «tratta» degli esseri umani e ogni tipo di traffico sulla pelle dei migranti; salvando le vite umane nel deserto, nei campi e nel mare; deplorando i luoghi indecenti dove troppo spesso vengono ammassate queste persone.

Il nostro nuovo vescovo Mario ha aderito alla campagna lanciata dalla Caritas Internazionale, “A braccia aperte”,  per promuovere la “cultura dell’incontro”: davanti al duomo di Milano si é fatto fotografare con le braccia allargate, chiaro segno di accoglienza. 

Credo che qualche domanda, noi cristiani, ce la dobbiamo proprio fare. 

 

 

 

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