Giornata Mondiale del Malato: Ecco tuo figlio…Ecco tua madre di Don T. Vimercati – Parroco

 

“Ecco tuo figlio… Ecco tua madre. E da quell’ora il discepolo la prese con sé”: le conosciamo bene, sono parole di Gesù in croce, rivolte alla madre e all’apostolo Giovanni. Oggi queste parole sono state scelte da papa Francesco come tema per la XXVI° Giornata Mondiale del Malato.

A Maria, trafitta da un dolore indicibile, è affidato Giovanni e l’intera chiesa.

E a Giovanni, anch’egli provato da una grande sofferenza, è affidata Maria.  
A due persone, schiacciate dal dolore, tentate magari di chiudersi in se stesse, è affidata una missione: prendersi cura reciprocamente. Ciò che avvenne, dice il vangelo di Giovanni. Siamo un’umanità provata dalla sofferenza, di malattia, solitudine e morte è intrisa la nostra vita; insieme, certamente, a tante cose belle capaci di renderla una splendida avventura.
Ciò che Gesù disse sulla croce alla madre e all’apostolo ci coinvolge, ci rende responsabili l’uno dell’altro. Siamo compagni di viaggio, ci dobbiamo prendere per  mano per camminare insieme, più sicuri, aiutandoci a vicenda e facendoci compagnia. Soprattutto prendendoci cura di chi soffre, è solo, è malato, di chi rimane indietro e non riesce a tenere il passo.  
Come ha fatto Gesù: è passato tra gli uomini facendo del bene a tutti, facendosi prossimo a chi era nel bisogno, ha ridonato la vista ai ciechi, ha fatto udire i sordi e parlare i muti, sanati i lebbrosi,  ha fatto camminare il paralitico, donando a tutti la certezza di essere amati da Dio. “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”, troviamo nel vangelo di Matteo.

Come ha saputo fare la chiesa: nel corso dei secoli la comunità cristiana ha incarnato la compassione di Gesù, ha saputo esprimere tanti uomini e donne vissute al servizio degli ammalati, con creatività e genialità, spesso anticipando di molto i tempi della società civile. Innumerevoli e imponenti le opere sorte all’ombra della chiesa in favore dei malati e dei poveri. Un’azione che continua ancora oggi e che in molte parti del mondo risulta essere indispensabile.

Come fanno tante persone semplici che accudiscono con amore, ma anche con sacrificio, una persona cara; mamme e papa che vivono interamente per il figlio malato o disabile; persone che sanno occuparsi, senza fare troppa pubblicità, del vicino di casa quando si trova nel bisogno, e che si rendono disponibili quando vengono a sapere che c’è qualcuno in difficoltà, anche se non lo conoscono. 
Come fanno le Associazioni di volontari che si prendono cura delle persone nelle loro fragilità e necessità. Negli ospedali, nelle Case di riposo, nelle carceri, nei Centri di accoglienza, per le strade ad aiutare i senza tetto. C’è da rimanere stupiti e meravigliati di tanta generosità.
Come fa anche lo Stato: certo è sempre tutto migliorabile ma abbiamo raggiunto un buon livello di attenzione al malato, al bisognoso di cure. Penso alla nostra Sanità: tutti possono accedere alle cure mediche e ospedaliere.

E molto spesso sono di alto livello, con personale medico all’altezza e infermieri preparati che sanno essere attenti anche all’aspetto umano, al malato che hanno di fronte. Sento sempre grandi lodi e gratitudine per i medici e gli infermieri che lavorano negli Hospice e che vanno nelle case degli ammalati terminali: professionalità, competenza e grande umanità. Sanno accompagnare il malato negli ultimi giorni di vita e sostenere i familiari nella loro sofferenza.

Il cardinal Martini rispose così quando gli fu chiesto, “quale domanda rivolgerebbe a Gesù, se ne avesse la possibilità”: “Gli chiederei se in punto di morte mi verrà a prendere, se mi accoglierà.  In quei momenti difficili, nel distacco o in punto di morte, lo pregherei di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la paura”. E’ una grazia non rimanere soli nella malattia e nell’affrontare la morte.

Credo che questo sia il senso del prendersi cura: non lasciare nessuno solo, accompagnare con discrezione, delicatezza, senza considerare nessuno poco più di un numero, ogni uomo o donna malata è una splendida e unica storia di vita, segnata da tante cose belle e tante brutte, di cadute e di errori, di tragedie che non riusciamo neanche a immaginare, di eroismo nascosto, di bontà quotidiana. Il rispetto, sempre e comunque, è l’atteggiamento che dovrebbe distinguere chi si accosta al malato. Il rispetto che significa saper ascoltare ciò che il malato ha nel cuore, i suoi desideri, i suoi rifiuti, non negare l’evidenza quando chiede verità, accettare che si possa anche “rinunciare a lottare” pur continuando ad amare la vita e le persone care che ci stanno attorno e chiedendo di essere amati fino alla fine.

Abbiamo certamente bisogno di mettere al centro delle nostre attenzione l’uomo che abbiamo di fronte, non in astratto con astratte necessità, ma l’uomo che soffre in modo unico, con le sue tragiche necessità, i drammi interiori e le paure: noi possiamo solo rispettare senza permetterci mai di giudicare. Questo dovrebbe essere il nostro modo di amare la vita, la vita di tutti e di rispettarne la dignità e la sacralità. Che questa Giornata del Malato ci aiuti ad essere capaci di prenderci cura del fratello, di fargli percepire l’amore e la compassione di Dio, di rispettarlo e di amarlo fino alla fine.

 

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Non accettate nulla come verità che sia privo di amore.
E non accettate nulla come amore che sia privo di verità!
L’uno senza l’altra diventa una menzogna distruttiva.
(S. Teresa Benedetta della Croce).

COMUNITA’ PASTORALE S. TERESA BENEDETTA della CROCE
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LISSONE

 

 

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