Dalla Thailandia ci scrive P. Alessio Crippa – 3°

 

Sempre più mi accorgo che il tempo aiuta a mettere a fuoco meglio i punti bellissimi e quelli con cui faccio più fatica della cultura e del modo di pensare thailandese, formato dalla tradizione Buddhista-induista e cinese (Buddhista è il 96 per cento del popolo; almeno il 15 per cento della gente ha i nonni cinesi, migranti in Thailandia).

L’aspetto che più amo di questo popolo è il fatto che in ogni thailandese è comunque presente, almeno nel profondo, un senso di rispetto per tutto ciò che è sacro, che è poi la cosa che ci apre la strada nell’incontrare la gente.

Ancora di più amo l’importanza che i thailandesi danno al prendersi dei momenti di tempo per “na’ng samaathi”, che significa “sedersi (a gambe incrociate sul pavimento e con la schiena dritta) – chiudere gli occhi – fare silenzio – concentrarsi su questo istante”. Oggi purtroppo il casino del nostro mondo globalizzato è entrato in pieno e coi telefonini sempre in mano i bambini fanno fatica a “na’ng samaathi”, a volte rifiutano questo esercizio che è presente nel profondo della loro cultura.

Anche quando durante i piccoli “campi-scuola” (3 giorni) che organizziamo una volta al mese coi ragazzi della baraccopoli (tutti buddisti ovviamente), chiediamo loro di “na’ng samaathi”, in molti ridono e reclamano per aver indietro il telefonino (che nel frattempo abbiamo sequestrato già da inizio campo).

Eppure questa pratica è comunque riconosciuta, apprezzata ed è un’eredità preziosa che Buddha lascia a questo popolo e che permette ai ragazzi di essere coscienti almeno un poco di quello che sono: obbliga a fare silenzio nella vita e prendersi sul serio… e noi cogliamo cosi l’occasione di questo silenzio per poter far loro ascoltare qualcosa di importante che non hanno mai sentito: i valori del Vangelo, soprattutto quel “chi vuol essere il primo si faccia ultimo e servo di tutti”, che è una strada da percorrere fino in fondo, soprattutto qui dove è tutto molto gerarchico e dove coloro che hanno il potere sono molto riveriti”, a volte “adorati”. 

E ai poveri non restano che le briciole. E poi far sentire un ritornello sulle note di Taize’: Thinai mi quamrak…”, cioè “dove è carità e amore” /“Ubi caritas et amor  Dio è lì presente… quanto bisogno di Amore si legge sui volti dei ragazzi.

Quasi tutti i ragazzi che partecipano ai campi non hanno mai conosciuto papà o mamma, oppure li sanno in carcere da qualche parte; per non parlare di chi conosce solo la nonna, e sa bene di essere stato abbandonato sin dai primi anni perché tutti glielo dicono in faccia. 

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COMUNITA’ PASTORALE S. TERESA BENEDETTA della CROCE
Parrocchie:
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S. Maria Assunta – Sacro Cuore di Gesù
S Giuseppe Artigiano – SS. Pietro e Paolo
LISSONE

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