Don Tiziano Vimercati – Prevosto della Comunità
Evangelizziamo anche quando cerchiamo di affrontare le diverse sfide che possono presentarsi. Così inizia il numero 61 dell’Esortazione Apostolica di papa Francesco, La gioia del Vangelo.
Dopo aver ricordato che occorre pronunciare alcuni no, no a un’economia dell’esclusione, alla nuova idolatria del denaro, a un denaro che governa invece di servire, all’iniquità che genera violenza, il papa ci invita ad affrontare le sfide del mondo moderno.
Non c’è fuga nel passato, non c’è posto per le nostalgie nelle parole del papa, ma coraggio nel cercare la strada per annunciare il vangelo nella situazione di oggi. Senza pretese di completezza si possono indicare queste sfide, che possiamo definire di tipo culturale: limitazione della libertà religiosa, persecuzione dei cristiani in diverse parti del mondo, indifferenza religiosa, relativismo.
Tutto questo unito alla difficoltà di realizzare un progetto comune, che unisca il più possibile i sogni e le speranze di tutti, perché è facile perdersi nella propria verità soggettiva e nella difesa degli interessi di parte.
C’è poi una sfida che tocca da vicino le chiese di tutto il mondo: la proliferazione di nuovi movimenti religiosi e la proposta di spiritualità senza alcun riferimento a Dio.
Da una parte queste nuove forme di religiosità possono essere una reazione di fronte ai vuoti e alle delusioni generate dalla società materialista, dove ciò che conta è possedere e consumare; ma può essere anche la reazione alle nostre mancanze, alla tiepidezza della nostra fede, all’immagine inadeguata che la chiesa offre di se stessa.
Il papa ci ricorda che tanti cristiani non si sentono parte della chiesa, forse perché la vedono solo come una istituzione e non come la comunità dei fedeli radunata da Gesù, forse perché non si sentono accolti nelle nostre parrocchie, forse perché non colgono alcuna differenza con le altre istituzioni.
Vedono nella chiesa gli stessi difetti, modi di agire, scelte per nulla evangeliche, proprio come nelle altre strutture. Ne abbiamo di motivi per fermarci a fare un po’ di esame di coscienza. Almeno provare per una volta a non pensare alla chiesa come a qualcosa d’altro da noi.
Proviamo a considerarci chiesa: noi, qui a Lissone, come viviamo la nostra appartenenza a questa chiesa locale, mi sento accolto e, a mia volta, accolgo i fratelli?
Una volta tanto chiediamoci qual è il volto di chiesa che di fatto mostriamo ai nostri fratelli, più o meno lontani, e chiediamoci se è un volto che possa attrarli o se li allontana sempre di più.
L’anima deve considerare l’aridità e il buio come fausti presagi,
come segni che Iddio le sta a fianco,
liberandola da se stessa, strappandole di mano l’iniziativa.