Con sguardo contemplativo di Don Tiziano Vimercati – Parroco

Desidero offrire a tutti una piccola parte della riflessione che ho tenuto il primo dell’anno, in occasione della Messa per la pace.  Condivido con voi ciò che più mi ha colpito del messaggio del papa raccogliendo i pensieri attorno a qualche parola.

La prima parola: desiderio. Chi lascia la propria terra perché oppresso dalla fame, dalla guerra, dalla mancanza di prospettive desidera un futuro di vita, poter vivere in pace, lavorare e guadagnare il pane necessario, desidera offrire un futuro ai figli mandandoli a scuola, e godere della possibilità di accedere alle cure mediche. Cose per noi normali ma che sono un sogno per troppi popoli. Il desiderio che però è un diritto. La paura, altra parola che accompagna il fenomeno delle migrazioni.

Non solo quella evidente dei profughi che rischiano la vita, e muoiono in mare o nel deserto, e per la violenza di ogni tipo che sono costretti a subire, ma anche la nostra paura. La paura del diverso, di chi vediamo come un aggressore, di chi ci può rubare un po’ del nostro benessere. Una paura alimentata, dice il papa “da una diffusa retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati disprezzando così la dignità umana… Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza discriminazione razziale e xenofobia”.

 

 

Un’altra parola è sguardo: il papa usa l’espressione Con sguardo contemplativo. E’ la capacità che ci dona la nostra fede di poter guardare il volto di chiunque come il volto di un fratello e che tutti facciamo parte di una sola famiglia e abbiamo gli stessi diritti ad usufruire dei bene della terra. E’ quanto ho avuto modo di richiamare più volte: imparare a non parlare di poveri, di migranti, di profughi così, in astratto, per sentito dire ma a guardarli negli occhi, per accorgerci che hanno gli stessi desideri nostri, le stesse paure, che sono buoni come lo siamo noi, fragili e cattivi come noi, guardarli negli occhi per ritrovare noi stessi.

Un’altra parola che mi ha colpito è la parola città: citando Gerusalemme il papa dice che la sua vocazione è di essere “città con le porte sempre aperte per lasciare entrare gente di ogni nazione, che la ammirano e la colmano di ricchezze”. La città è il luogo dove Dio abita, dove si può realizzare la promessa di pace, diventare un cantiere di accoglienza, di attenzione e privilegio verso i più deboli.

La città è il luogo della convivenza, dove insieme siamo chiamati a realizzare il sogno di una città veramente a misura d’uomo. Bella la definizione di città che troviamo in un’opera di Italo Calvino: Le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. Insieme dunque a dare risposte alle domande e a tener su le mura della città. Infine, l’ultima parola: le mani.

Le nostre e quelle del fratello che arriva. Né le nostre né le sue sono vuote. C’è una ricchezza di doni che deve essere condivisa. C’è anche il fratello profugo che può dare qualche risposta alle domande che salgono dalla città, anche lui può impegnarsi a tener su le mura delle nostre città, che saranno anche le sue.

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COMUNITA’ PASTORALE S. TERESA BENEDETTA della CROCE
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LISSONE

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