O Gesù, che nella tua infinita bontà
hai avuto compassione dell’uomo e non hai voluto che rimanesse
schiavo della sua debolezza,
infondi ancora il tuo Spirito
su ciascuno di noi e sulle nostre comunità,
perché possiamo sperimentare la gioia di sentirci nuove creature.
Fa’ che, toccando le tue ferite,
possiamo avere compassione dei nostri fratelli e sorelle.
Donaci sempre il tuo Santo Spirito
perché non rimaniamo mai confusi negli affanni e negli intrighi del mondo,
ma sappiamo rispondere al male con il bene.
Manda il tuo spirito Signore e rinnova il cuore di ogni uomo.COMUNITA’ PASTORALE S. TERESA BENEDETTA della CROCE
Parrocchie:
Cuore Immacolato di Maria – Madonna di Lourdes
S. Maria Assunta – Sacro Cuore di Gesù
S Giuseppe Artigiano – SS. Pietro e Paolo
LISSONE
Lo Spirito Santo: il linguaggio dell’amore di Don Tiziano Vimercati – Parroco
“Non vi lascerò orfani”, dice Gesù nel vangelo di oggi. Stava rassicurando i discepoli, smarriti e impauriti per il futuro, pensavano di non poter far nulla senza il maestro. Rimanere orfani è un’esperienza che ci fa sentire in qualche modo abbandonati, e dunque smarriti: il figlio quando perde il padre o la madre, lo sposo quando perde la sposa, ma anche quando perdiamo un amico.
Qualcosa di noi se ne va, una persona che ha contribuito a farci essere ciò che siamo esce dal nostro orizzonte. Un’esperienza che è di tutti, e può essere anche molto dolorosa.
Gli apostoli e i discepoli sono passati attraverso lo smarrimento che li portava a rinchiudersi in se stessi, a starsene nascosti nel cenacolo, sia pure in preghiera e con Maria, la madre di Gesù.
Ma ecco la promessa di Gesù: non è così che dovete vivere, se ve ne state chiusi per paura finirà tutto in breve tempo, sappiate che continuerò a “stare con voi”, il Padre mio e vostro vi invierà lo Spirito, il Consolatore, che vi darà coraggio, vi illuminerà, vi sosterrà nell’aiutarvi a compiere le stesse cose che ho fatto io.
Ecco il grande dono della Pentecoste: attraverso il dono dello Spirito, Gesù è presente nella nostra vita e intende radunarci tutti in unità.
La Pentecoste può essere considerata il contrario dell’episodio della torre di Babele: allora gli uomini dimostrarono la loro incapacità di comunione, di rimanere uniti, di usare lo stesso linguaggio.
Ora, vedi la prima lettura di oggi dagli Atti degli Apostoli, c’è la possibilità di intendersi, lo Spirito dona agli apostoli un linguaggio da tutti compreso.
Che sia il linguaggio del Vangelo e dell’amore?
Dunque alziamoci, decidiamo di seguirlo, con coraggio prendiamo le decisioni giuste, viviamo la nostra fede come espressione dell’amore verso Gesù e verso i fratelli.
La scorsa settimana scrivevo, ricordando l’impegno che tutti dobbiamo metterci per il bene comune, che “Il cristiano… sa che la novità perenne del vangelo può essere una luce che guida le stesse scelte politiche, e deve essere convinto che ciò in cui crede non è riservato alle sacrestie e alla cerchia ristretta dei praticanti, ma è parola “buona”, necessaria e preziosa per l’uomo d’oggi.
Gesù ha qualcosa da dire a tutti, anche oggi”.
Allora proviamo a chiederci: cosa ci dice oggi la parola di Dio, in questa festa della Pentecoste?
Come ci può aiutare a leggere lo specifico momento storico che stiamo vivendo?
In realtà la parola di Dio di oggi è così ricca di spunti che ci vorrebbe un intero trattato per illustrarli. Mi limito a ciò che più mi colpisce.
Lo Spirito dona la possibilità di ricreare l’unità tra gli uomini, di parlare la stessa lingua, cioè di intenderci.
C’è dunque la possibilità per gli uomini di non essere estranei l’uno verso l’altro, che la diversità e le caratteristiche di ogni popolo non rappresentano un ostacolo ma sono una ricchezza, che si può costruire insieme qualcosa di grande e bello, che non è affatto indispensabile farsi le guerre e difendere in modo egoistico solo i propri interessi, anche se rovinano altri popoli.
La Pentecoste ci cambia anche il modo di pensare, ci fa guardare con occhi diversi ogni fratello: Gesù “non ci lascia orfani “ , non lascia nessuno senza il Padre, e dunque ci rende tutti fratelli.
Guardare negli occhi un uomo e una donna e vedere in loro, prima di tutto, un fratello e una sorella. Il resto viene dopo, e conta molto meno.
Il mio cuore deve vibrare di dolore quando leggo che quarantaquattro persone sono morte di sete nel deserto del Sahara mentre compivano gli infernali viaggi della speranza; quando vedo in televisione l’ennesima strage legata al terrorismo, a Kabul in Afghanistan, con ben (finora) cento morti e oltre seicento feriti; quando in Egitto trentacinque cristiani copti (ancora loro) tra cui anche diversi bambini, sono stati uccisi sempre per terrorismo ma anche in odio alla fede.
Il cuore del cristiano non soffre di meno perché non li conosciamo, vivevano lontano da noi, non sono italiani, non sono cristiani, sono musulmani, sono zingari, sono… diversi da noi.
La Pentecoste non ci permette di pensare così.
Il cuore del cristiano invece gioisce quando udiamo il linguaggio dell’amore, quando vediamo che il bene è compiuto, quando si va al di là delle differenze, quando per un gesto d’amore si è pronti a pagare di persona, quando si sta al fianco di un ammalato, di un anziano, di un disabile, in modo disinteressato e con tanto amore. Ogni giorno avvengono migliaia di gesti d’amore, anche se non fanno notizia. Ma ci sono.
E, grazie a Dio, da parte di tutti.
Il cristiano però si renda conto che per lui c’è anche lo Spirito che lo spinge, donandogli coraggio, ad essere questa presenza d’amore.
Ultimo aggiornamento
4 Giugno 2017, 01:42