LA TESTARDAGGINE DI PIETRO

Chiesa Prepositurale SS. PIETRO e PAOLO – LISSONE: lunetta con S. PIETRO

Mi piace immaginarlo così, dotato di quella caratteristica da secoli riconosciuta peculiare anche nei lissonesi e raffigurata nello stemma della città con un animale simbolicament

Chiesa Prepositurale SS. PIETRO e PAOLO – LISSONE: lunetta con S. PIETRO

Mi piace immaginarlo così, dotato di quella caratteristica da secoli riconosciuta peculiare anche nei lissonesi e raffigurata nello stemma della città con un animale simbolicamente molto eloquente.
Testardaggine: una dote o un difetto? Come sempre dipende dal punto di osservazione, dalla predisposizione dell’animo, dal momento e dalla situazione.

Testardaggine può essere sinonimo di grettezza, di incapacità a vedere più in là del proprio naso o del proprio interesse, ignoranza e rifiuto di elevazione culturale che si ritiene inutile. Quindi prepotenza e sopruso. E mi vengono in mente le figure dei fattori che governavano le grandi cascine di un tempo, quelle che ho visto nei film come Novecento o l’Albero degli Zoccoli. Ma erano testardi anche i “regiù”, i capi famiglia ai quali anche la moglie dava del “Voi”. Mi piace pensare (e ne ho trovato conferma in molte pagine di Guareschi) che quella testardaggine fosse una sorta di pudore dei propri sentimenti. Anche Pietro, rozzo e istintivo, esclama: “Non mi laverai mai i piedi!” (Gv 13,7) e sbaglia tutto perché non è giusto non lasciarsi andare, senza riserve, all’amore di un amico, di un figlio…

E se la testardaggine la chiamassimo tenacia? Diventerebbe subito una dote positiva e apprezzabile. Come avrebbe potuto Pietro sopportare per tre volte le domande di Gesù se non fosse stato tenace? Di quella tenacia che solo l’amore profondo conosce?
“…Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”…” (Gv 21,15-17)

Nei Vangeli sentiamo ancora parlare di lui durante il processo di Gesù nel Sinedrio. E qui Pietro si rende conto che non ha saputo essere tenace e coerente fino in fondo, non ha saputo morire come aveva promesso. E’ scappato, ha mentito. Forse quel suo “E uscito all’aperto, pianse amaramente” (Mt 26,75) è la manifestazione dell’impotenza umana di fronte alla sofferenza, alla morte. Il pianto disperato di chi ha tentato tutto, ha creduto tutto, ha pregato tanto, ma… perché?

Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che lo spirito Santo regala a Pietro quel coraggio che servirà a completare la sua testardaggine, a farne strumento di evangelizzazione “fino agli estremi confini della terra “ (At 1,8) e del tempo.

Visto così il Santo Patrono, che festeggiamo con solennità nelle giornate dal 27 al 29 giugno prossimi , non sembra lontano dalla vita, ha tutte le caratteristiche per essere accolto come uno di noi.

Dimostra, ancora una volta, che la santità non richiede doti eccelse, fa tesoro anche dei difetti.

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