DUE PAROLE SULL´ORATORIO DI SAN CARLO.

 

Il Luogo ritrovato di una tradizione di fede forte e vissuta con coraggio non ispira solo meditazione e preghiera. I ricordi di un tempo poco lontani negli anni, ma abissalmente distante dall’odierno modo di vita, riportano all’attenzione valori che non dovrebbero andare perduti.

Domenica 27 giugno 2004 è stata una giornata importante per la nostra comunità, ricca di contenuti, di ricorrenze e di significati: la festa dei Patroni S.S.Pietro e Paolo, la benedizione dell’altare della chiesetta di S. Carlo, la visita dell’Arcivescovo di Milano.

La benedizione dell’altare è stata un momento importante per la fede ma anche per la storia della nostra terra. La ristrutturazione è stata veramente bella, ha conservato la vecchia struttura semplice ed essenziale senza troppi inutili fronzoli che appesantiscono e nascondono la linearità dell’architettura e degli elementi costruttivi; i colori chiari delle pareti allargano gli spazi naturalmente angusti nella struttura dell’oratorio.

In quei momenti credo che tutti i presenti abbiano guardato un poco al passato, alle tradizioni dei nostri padri come un amarcord, non privo di qualche nostalgia. Ci siamo ricordati di quei racconti che vengono tramandati a voce, non scritti in nessun trattato storico, ma che sono l’espressione della vera storia, non di quella mediata della cultura che, analizzando i documenti, li interpreta e magari, senza volerlo, li deforma.

Vengono in mente i momenti della storia della Brianza contadina, quando si viveva nei grandi cortili che costituivano una comunità, in cui i soggetti comunicavano, si conoscevano, a volte litigavano, ma nel momento del bisogno non veniva mai meno la collaborazione e l’aiuto. In quegli anni collante fra le varie comunità era la fede, la Chiesa, che suggeriva anche i valori a cui tendere: gli ideali delle famiglia, del lavoro onesto, della solidarietà e del trovarsi insieme a pregare. In quei lontani tempi l’umanità era spesso colpita dalle malattie e dalle pestilenze con cui non c’era rimedio, e l’uomo trovava conforto nella Fede, in un DIO che comunque salva e che dà senso alla vita. 

La chiesetta di San Carlo è il frutto di questa fede, 

è il frutto di una devozione collettiva; è per questo che occorreva conservarla, per salvare un documento della nostra storia, per proporre attraverso la viva presenza di un monumento alle nuove generazioni un frammento del passato, un esempio di vita nella fede.
Mi vengono in mente certi racconti da cui trapelavano le difficoltà della vita contadina: la fatica del lavoro non supportato dalle macchine, da moderni strumenti; lo sforzo richiedeva la terra, a volte, avara che non premiava sempre in proporzione al lavoro, per cui la famiglia doveva affrontare periodi di magra, di penurie, quando non di veri e propri stenti. Allora si viveva di fatiche, ma il mondo contadino offriva certezze ora ormai sconosciute.

La persona sapeva, si può dire fin dalla nascita, dove avrebbe trascorso la sua esistenza, con che avrebbe passato i giorni della sua vita, dove sarebbe stata sepolta: aveva certezze che nessuno avrebbe potuto toglierle e che contribuivano a creare personalità psicologicamente forti e coriacee. Il nostro tempo certamente offre di più all’uomo benessere, comodità, agi e a volte vere e proprie ricchezze, ma toglie qualcosa come certezze di cui si è detto sopra e questo crea disagio morale e psicologico, se a ciò si aggiunge il dilagante ateismo e la mancanza diffusa di fede, allora si comprende il senso della solitudine che pervade l’animo, in particolare, nel periodo della sofferenza e della malattia o nel momento in cui la perfetta efficienza del fisico incomincia a declinare.

La chiesetta di San Carlo, riaperta al pubblico, può rappresentare un´occasione offerta ai Lissonesi per recuperare, pur nel contesto moderno e nei vantaggi che l’attualità offre, alcuni valori cari al passato, ma in particolare può offrire ai giovani occasione per riandare alle radici di questo presente e far loro capire l’importanza della storia che essi dovrebbero portare avanti nel positivo.
La chiesetta di San Carlo deve dire a loro che
, a lungo andare nessuna società può sopravvivere solo guardando il presente e solo accettando il “carpe diem” senza prendersi la responsabilità del futuro che trova ragione vera nella conoscenza e nella continuità col passato.

L’Arcivescovo ha sottolineato la bellezza della chiesetta ristrutturata, ma ha anche ribadito che essa deve essere uno spazio ulteriore offerto alla meditazione e alla preghiera.

Sarebbe proprio riduttivo, e allora non avrebbe meritato tanto sforzo, se S. Carlo venisse considerato dal Lissonese solo come uno spazio per dare una cornice più lussuosa ad alcune celebrazioni o riti, se fosse considerata solo opera d’arte salvata da un continuo ed inesorabile degrado per appagare il gusto estetico dei raffinati cultori del bello.  

 

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