Don Stefano NASTASI e il dolore degli “ ALTRI” di Margherita CITTERIO

I pescatori di Lampedusa che hanno salvato tante vite, l’ex Parroco che piange con gli “ altri”… quelli venuti da lontano… la volontaria che li aiuta e dietro… una croce fatta con il legno dei barconi.

Data:
9 Aprile 2017

I pescatori di Lampedusa che hanno salvato tante vite, l’ex Parroco che piange con gli “ altri”… quelli venuti da lontano… la volontaria che li aiuta e dietro… una croce fatta con il legno dei barconi.
Questo è il loro spirito di accoglienza visto da vicino. E hanno capito. Padroni a casa nostra, che sciocchezza! Nessuno è padrone di un luogo della Terra, né può essere casa nostra ciò che abbiamo solo per la fortuna di nascere sulla riva giusta di un mare, il Mediterraneo. Don Stefano Nastasi, ex parroco di Lampedusa, ci ha ricordato cosa è davvero nostro: “ … quei bimbi sepolti in fondo al mare sono i nostri figli”.

Viso sorridente, sguardo sereno, voce pacata con un marcato accento siciliano.
Mercoledì 5 aprile la nostra Comunità Pastorale ha avuto l’occasione di incontrare Don Stefano Nastasi e ascoltare la sua esperienza come parroco di Lampedusa, di sentire da lui quello che ha visto e vissuto durante i sei anni di permanenza sull’isola “Porta d’Europa”.
Alcuni mesi fa, su invito dell’Azione Cattolica e della Caritas del nostro Decanato, Don Stefano aveva inaspettatamente dato subito la sua disponibilità a venire a Lissone, pur nelle difficoltà di trovare una data disponibile visti i suoi molteplici impegni pastorali nell’attuale comunità di Sciacca.
E’ stata una serata intensa, che ha emozionato tanti, offrendo a coloro che erano presenti la possibilità di ripensare ai propri atteggiamenti nei confronti del fenomeno migratorio che ormai da alcuni anni interpella ciascuno di noi.
Difficile riassumere in poche righe la ricchezza che ci è stata regalata in quest’incontro…
Rispondendo alle domande del giornalista di Avvenire, Luca Geronico (socio di Azione Cattolica di Sovico), Don Stefano ci ha raccontato con un linguaggio semplice, come Lui e i suoi parrocchiani, per affrontare il problema, si siano sempre prima di tutto lasciati provocare ed interrogare dalla Parola di Dio, lampada ed orientamento delle scelte del cristiano, per capire cosa stava loro succedendo e cosa il Signore chiedeva a loro come comunità in quel preciso momento. “Noi che siamo forti abbiamo il dovere di sopportare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi” (cfr Rm 1,15): queste parole di S. Paolo sono divenute per i lampedusani un impegno da incarnare ogni giorno nei confronti di chi arrivava dal mare per cercare in Europa una nuova vita e speranza per il futuro.
Il popolo che arriva dal mare negli anni è cambiato: all’inizio erano giovani uomini ma negli ultimi anni affrontano il viaggio della speranza anche famiglie con bambini piccoli.
E i lampedusani, che come numero sono stati in alcuni momenti tanti quanti i migranti (6000), sono sempre stati pronti a condividere con i profughi quello che avevano e quello che potevano, le loro case, il cibo sulla loro tavola.
Perché solo guardando questi fratelli negli occhi si comprende che sono delle persone, non degli oggetti da spostare ed è questo che fa la differenza! “Ciò che loro ci chiedono sono dei semplici gesti di umanità nei loro confronti, nulla di più. Il lavoro che c’è da fare in questo campo sembra a volte troppo grande per le nostre deboli forze, ma se ognuno di noi compie anche solo dei piccoli segni, è un passo in più fatto nella giusta direzione.” E’ necessario conosce l’altro, mettere da parte le paure che ci tengono legati e non ci fanno fare i giusti passi in avanti.
Drammatico è stato il racconto del gravissimo naufragio dell’ottobre del 2013, poco prima che Don Stefano finisse il suo incarico come parroco sull’isola: ci furono 368 morti (quasi tutti cristiani copti ci ha tenuto a precisare, perché non si creda come spesso ci fanno credere i media, che i migranti siano solo di religione mussulmana).
Le grida di dolore dei sopravvissuti nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa è un ricordo che Don Stefano ha ancora vivo nella mente.
La comunità di Lampedusa ha mostrato in quei giorni la “pietas” nei confronti di quei fratelli, ha pianto insieme ai sopravvissuti per i morti. “Quei corpi recuperati dal mare, la loro carne martoriata, è la stessa carne martoriata di Cristo sulla croce” ha detto il sacerdote “il dolore provato dalle loro madri, è il medesimo dolore che provano le nostre madri per la perdita di un figlio”.
Don Stefano porta al collo un crocefisso al quale è molto legato e sul quale sono incise le 7 opere di misericordia: a Lampedusa con la sua comunità ha sperimentato una prossimità senza pregiudizi, fatta con molta semplicità, come occasione per vedere nell’altro il volto di Cristo. Il riferimento è ancora una volta alla Parola di Dio, al capitolo 25 del Vangelo di Matteo “qualunque cosa avrete fatto ad uno di questi miei fratelli l’avrete fatto a me”. “A Lampedusa – ha raccontato Don Stefano – mi era stata data dal Signore la possibilità di vivere tutte le opere di misericordia, eccetto una: “visitare i carcerati”. Ma Egli aveva in serbo per me nuove sorprese: la mia attuale Parrocchia a Sciacca, infatti confina proprio con il muro del carcere e proprio lì ho ora l’opportunità di esercitare il mio ministero sacerdotale.”
A conclusione della serata: “La mia esperienza a Lampedusa  sembrava essersi conclusa nell’ottobre del 2013. Poco dopo, ho compreso che il mio rapporto con l’isola non era terminato. Il Signore mi chiedeva, con la mia testimonianza, di far conoscere il vero volto di Lampedusa e dei lampedusani, il vero volto dei migranti, che sicuramente non è quello raccontato il più delle volte dai mezzi di comunicazione.
Grazie don Stefano!
Per prepararci a vivere nella gioia la Pasqua del Signore, ci saranno sicuramente di aiuto le tue parole, anzi la Parola alla quale tu hai fatto continuo riferimento.

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Preghiera per la Comunità Pastorale

Signore, che vivi e abiti con noi
Ti preghiamo per la nostra comunità.
Aiutaci a conoscerei meglio, a comprenderci di più,
perché ciascuno si senta sicuro dell’affetto degli altri.
Rendici capaci di tacere e di parlare
al momento opportuno e con il tono giusto,
perché le discussioni non ci dividano.
Liberaci dalla pretesa di imporre
agli altri il nostro modo di pensare.
Perdonaci quando dimentichiamo
di essere figli e amici tuoi,
quando viviamo in casa Tua
come se Tu non fossi presente.
Distruggi l’egoismo
e ogni forma di divisione e di discordia.
La nostra comunità sia sempre disponibile, ospitale per tutti,
rispettosa di ogni persona.
Signore, tienici uniti nella tua chiesa in cammino
perché vediamo insieme il tuo volto
nella comunità vera e nella comunione perfetta.
Amen

COMUNITA’ PASTORALE S. TERESA BENEDETTA della CROCE
Parrocchie:
Cuore Immacolato di Maria – Madonna di Lourdes
S. Maria Assunta – Sacro Cuore di Gesù
S Giuseppe Artigiano – SS. Pietro e Paolo
LISSONE

Ultimo aggiornamento

9 Aprile 2017, 14:08